Negli ultimi mesi abbiamo già presentato un paio di singoli di Valerio Lysander, Non so perché succede e A Woman, scoprendo un cantautore senza dubbio originale e con una sua poetica ben definita. Con l’uscita dell’EP When the Clouds Will Gather I Will Drink the Rain, abbiamo parlato con Valerio, per saperne di più della sua musica.

QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE?
Mi sento un sacco HypFi. La musica “triste” mi ha sempre attirato, forse perché si connette con le corde del nostro animo che stanno più in profondità, e a me è sempre piaciuto tuffarmi lì dentro. Tutti quanti abbiamo tante cicatrici nella nostra vita che risultano in delle problematiche più o meno grandi nel presente, e da sempre io cerco di essere consapevole di quello che posso fare per vivere meglio. Senza accorgersi della “tristezza” non possiamo arrivare alla felicità. Come cercare di scalare una montagna con una zavorra attaccata alle gambe. Quindi sì, tendenzialmente sono una persona serena, ma consapevole del fatto che ci sono delle cose nella mia vita (e intorno) che non vanno. Felicità è una parola grande, e penso ci si possa arrivare solo dopo tanto tanto lavoro.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO EP, WHEN THE CLOUDS WILL GATHER I WILL DRINK THE RAIN E PERCHÉ?
Ah bella domanda! Ho scritto l’EP dopo la morte di mia madre due anni fa, e tutte le canzoni sono in qualche modo collegate a lei o alla sua morte. Quindi diciamo che di roba triste ce n’è parecchia. Ma come ho detto prima, in qualche modo io cerco sempre di trovare il meglio in ogni situazione, che anche il dolore insegna. Tornando alla domanda, probabilmente la canzone più triste per me è Te la ridi. In realtà l’idea della canzone vuole dire che la morte porta una leggerezza e una liberazione dai problemi della vita, e che c’è speranza che le persone che ci hanno lasciato stiano meglio ora che prima. Ma allo stesso tempo c’è la lontananza e la mancanza che noi che stiamo qui non possiamo fare a meno di sentire e a cui purtroppo non c’è soluzione. E poi, al di là del significato generale della canzone, mentre la scrivevo e registravo qualche lacrimuccia l’ho versata (e io non piango davvero mai), pensando alle persone che conoscevano mia madre che l’avrebbero ascoltata e utilizzata per ammorbidire il loro dolore. Alcuni di loro fanno anche del coro che c’è alla fine della canzone, che rende il tutto molto più forte per me.

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’EP?
Probabilmente Harbour. Sebbene si riferisca momento in cui ho pianto per la prima volta quando mi hanno dato la notizia dell’incidente di mia madre, davanti alla mia coinquilina di allora e ora una delle migliori amiche che ho, la canzone parla del lasciarsi andare, permettersi di essere vulnerabili nell’abbraccio sicuro di una persona amica, di imparare a chiedere aiuto. E quando quello succede i violini suonano e i tamburi suonano a festa.

IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Quando scrivo le mie canzoni uso la scrittura come un modo per processare i miei problemi e i miei sentimenti, cosicché all’interno di una canzone c’è sempre una storia che parte dal problema e cerca di arrivare alla soluzione, a un altro modo di guardare la vita che possa portare valore ai dolori che provo. Quindi quando lascio che le mie canzoni arrivino alle orecchie degli ascoltatori spero sempre che possano prendere qualche piccola perlina e portarla con loro.

QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
Questa è una domanda difficilissima, troppe da scegliere. La prima che mi viene in mente è Baby’s Romance di Chris Garneau (e tutto il resto di quell’album), poi Waving Through a Window da Dear Evan Hansen (la versione di Ben Platt è semplicemente fantastica) e poi andando un po’ indietro nel tempo Orfeo di Carmen Consoli.

Ecco When the Clouds Will Gather I Will Drink the Rain:

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