Matteo Mosolo è un musicista di Udine, che si muove tra classica e jazz con uno stile molto personale. Dopo un album dedicato al contrabbasso, ha pubblicato A Restless Night, un lavoro minimale e diretto che vede protagonisti lui e la sua chitarra classica, per il racconto di notti di sonno a intermittenza, di occhi che fissano un soffitto buio e di una mente che viaggia in maniera lucida inseguendo desideri, ricordi, preoccupazioni e delusioni. Ne abbiamo parlato con lui.

QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE?
Non mi posso certo lamentare di quello che la vita mi sta riservando. Fortunatamente la felicità è una presenza costante del mio quotidiano e la ritrovo ogni giorno nelle emozioni che mi provocano le risate di mio figlio, la bellezza della natura che ci circonda, l’ascolto di un bel disco… Essendo una persona assai riflessiva tendo a pensare molto ed inequivocabilmente questo porta a ricordi, pensieri e ragionamenti dove a volte fanno capolino un po’ di spleen e malinconia. È in questi momenti che in automatico prendo uno dei miei strumenti in mano, improvviso una melodia o scrivo il verso di un testo e faccio in modo che la musica diventi il mio antidepressivo. Mi sento quindi decisamente HypFi.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO ALBUM, A RESTLESS NIGHT, E PERCHÉ?
Credo che la canzone più triste possa essere epiphanic disillusion, un brano che ho scritto nel 2008 e che col titolo di Epifanico ho eseguito con diversi arrangiamenti e formazioni (quintetto d’archi, trio jazz, duo contrabbasso e sassofono ecc), ma mai nella sua versione più triste, la versione originaria, quella per sola chitarra presente in a restless night. Il brano si sviluppa su tre “mini temi” che partono da un andamento lento e malinconico, evolvono in un crescendo quasi speranzoso salvo poi ricadere nell’accompagnamento triste e minimale dell’inizio. Descrive lo scoprirsi disillusi al termine di un percorso in cui si è creduto, sperato e magari investito tempo ed energie, o smettere di sognare, lo smettere di sperare e di rimando lo smettere di provarci e di impegnarsi… in questo senso lo considero un brano particolarmente triste… A tratti ricorda Desolation, un brano per solo contrabbasso decisamente triste presente nel mio primo disco (Isolation del 2020).

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’ALBUM?
Il brano più felice dell’album è di sicuro goodwill, un brano che, nonostante celi una latente malinconia nella parte centrale, ha il sapore della benevolenza e dell’amicizia. Mi ricorda alcuni brani di un mio carissimo amico con cui suono da una vita che scrive canzoni in cui è impossibile non riconoscere la gioia che prova nel suonare.

IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
a restless night è un disco concepito come una specie di colonna sonora per chi come me ha problemi di insonnia: ore ed ore passate a fissare un soffitto buio e a perdersi tra ricordi felici e non, desideri, delusioni e progetti futuri. In questi ormai vent’anni passati a dormire tra le quattro e le sei ore a notte ho realizzato che questo tempo di “riposo mancato” può tramutarsi in tempo guadagnato dal punto di vista creativo, per sviluppare pensieri, idee (musicali e non) e progetti. È quindi questo il messaggio positivo che potrebbe rendere felice chi ascolta questo mio lavoro.

QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
A dire il vero a seconda dei momenti ascolto musica completamente diversa (classica, jazz, rock ecc) e quindi anche le canzoni possono cambiare… Al momento quattro brani sono una specie di colpo al cuore ogni volta che li ascolto: How To Disappear Completely dei Radiohead, About Today dei The National, You di Keaton Henson, senza dimenticare I know It’s Over dei The Smiths. Ma tra una settimana potrebbero benissimo essere Vince chi molla di Niccolò Fabi, Delancey Waltz di Marc Ribot e Myself When I Am Real di Charles Mingus o le variazioni Goldberg di Bach nella versione di Glenn Gould del 1981.

Ecco A Restless Night:

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