Parkour (Lato A) è il nuovo album dei bresciani Kaufman, band che parte da sonorità indie-pop per narrare scene di vita reali, quotidiane, in cui chi ascolta può immedesimarsi, facendosi portavoce di una generazione disinvolta ma inquieta. Ne abbiamo parlato con loro.

QUANTO VI SENTITE HYPFI? CIOÈ, FATE MUSICA TRISTE MA SIETE PERSONE FELICI?
Non so come si faccia a restare attaccati ad un’idea di felicità, per autocitarci eh. Però diciamo che facciamo pop con testi tristi. Ma questo perché, come diceva Saffo, l’amore è la cosa piu’ dolce e amara al tempo stesso. E noi cantiamo fondamentalmente di amore.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL VOSTRO ALBUM, PARKOUR (LATO A), E PERCHÉ?
Diciamo che c’è l’imbarazzo della scelta. Forse Bart Simpson. Anzi direi Babilonia, una canzone che parla del sentirsi spesso inadeguati e diversi; bè poi il ritornello dice “non è un film d’amore, non c’è mai un lieto fine”

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’ALBUM?
Probabilmente Judo perché racconta un amore attraverso i messaggi al telefono mentre si è in un parco con il cane e la città e la vita degli altri scorre tutto intorno.

IN CHE MODO LA VOSTRA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
La musica alla fine rende sempre felice chi ascolta. Perché racconta un’emozione che però si sfuma nel ricordo, perché condivide sentimenti comuni e aiuta a capire che non sei da solo. Si ecco probabilmente la musica ti aiuta nella solitudine.

QUALI SONO LE VOSTRE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
There Is a Light That Never Goes Out degli Smiths, La fine dell’estate dei Thegiornalisti, La donna cannone di De Gregori.

Ecco Parkour (Lato A):

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