Dropout è un compositore e designer grafico in continuo movimento tra Italia, Inghilterra e Giappone. Chitarrista per elezione, synthesista per evoluzione, dal 1996 ha all’attivo diversi lavori su commissione per multimedia, ambienti (negozi, installazioni architettoniche), installazioni artistiche e danza contemporanea, oltre che 7 album di indie elettronica sperimentale. Il suo ultimo lavoro, Sulla fine delle cose è un disco intimo, forse al principio straniante, da scoprire ascolto dopo ascolto: 10 pezzi apparentemente facili per tempi notoriamente difficili. Un profondo e denso percorso introspettivo sul tema della fine delle cose, con atmosfere cariche di nostalgia per quegli eventi lontani nel passato che hanno contribuito alla costruzione di sé. Ne abbiamo parlato con lui

QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE?
Il mio nuovo lavoro possiede una marcata vena malinconica e nostalgica, ma non è affatto triste. Infatti essendo i pezzi sequenziati nel loro ordine cronologico di creazione, da un’atmosfera piuttosto malinconica e solitaria il disco vira verso dei momenti di beatitudine anche corale. Dove il concetto di “fine delle cose” smette di autocommiserarsi e comincia ad aprirsi all’idea di rinnovamento, perfino di fronte a quella “Fine” più radicale che spaventa tutti noi esseri viventi, ma il coro di bambini dell’asilo sul finale riesce a vincere anche questo, ricordandoci che c’è sempre una rinascita. Quindi, sì, Dropout è felice ma fa in genere musica introspettiva dato che quando non “introspeziona” non sta in studio e preferisce uscire a fare altre cose. Mi sento in ogni modo abbastanza HYPFI dato che il mio percorso di ascolti ha avuto (e ha tutt’ora) una grande parte nell’ambito della cosiddetta musica Goth (Dark qui da noi), un tipo di musica che nonostante sia basata su atmosfere lugubri e malinconiche mi dà curiosamente un gran senso di pace.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO ALBUM, SULLA FINE DELLE COSE, E PERCHÉ?
Paradossalmente la canzone veramente triste forse è quella più ritmata e groovy dell’album: Non sono io perché descrive, immaginandolo, ovviamente, il momento di trapasso dalla vita all’ignoto. Però, di nuovo, con un senso più di liberazione e curiosità per questa nuova condizione di infinito che si prospetta. Di superiorità verso le quisquilie terrene. Il tema deriva da recenti avvenimenti che hanno colpito persone a me care. Riflettere su un argomento così tosto aiuta ad accettarlo e averne meno timore.

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’ALBUM?
Levato l’ultimo pezzo che è un field-recording in un asilo giapponese, evidentemente scanzonato e allegro, direi che la palma del pezzo più sereno se la giocano Attica, un momento di pace interiore ed esteriore condivisa con la persona che si ama, in uno spicchio di semplice quotidianità, e Un’altra fine del giorno che è la registrazione originale del momento esatto in cui quel pezzo è uscito dalla mia chitarra, un’improvvisazione immersa nell’ora magica del tramonto, ricordo che la finestra proiettava una calda luce arancione di fine maggio e in terra mio figlio di due anni che giocava tranquillo sul tappeto, io sul divano nero con la chitarra classica in mano. La cosa divertente è che a un certo punto mio figlio starnutisce, oltre che commentare in modo incomprensibile l’inizio del brano…

IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Questo proprio non lo saprei dire di preciso, in quanto ritengo che una volta donata la musica all’ascoltatore è suo compito rendersela propria, come colonna sonora di un ricordo, di un viaggio. Oppure quando c’è quel momento esatto in cui musicista e ascoltatore entrano in “risonanza” tra di loro, ovvero che il secondo riconosce e condivide lo stato d’animo del primo. Ritengo comunque che la mia musica si presti bene ad essere colonna sonora di qualche istante di vita. Tutto sta nell’aver la pazienza e la curiosità di ascoltarla con attenzione.

QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
Ah, per elezione, come detto prima, ce ne sarebbero davvero molte, vado a memoria: All I Have dei Clan of Xymox, Shadow Blues di Laura Veirs, Famous Blue Raincoat di Leonard Cohen, Giugno ’73 di Fabrizio De Andrè con l’arrangiamento della PFM, Charlotte Sometimes dei The Cure, È stato molto bello di Franco Battiato e Manlio Sgalambro, Decades dei Joy Division. Te ne ho scritte 7 perché averne solo 3 a disposizione… ecco, mi rendeva troppo triste.

Ecco Sulla fine delle cose:

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