Letters To A Dead Friend è l’EP d’esordio dei May Eyes Love, quartetto formato da Silvia Lovicario, alla voce e chitarra ritmica, Federico Costanzi alla chitarra solista, Giulia Cinquetti al basso e Nicola Poiana alla batteria. Una band che mixando sonorità dream pop, shoegaze, post punk e indie rock ha prodotto queste tre canzoni, che rappresentano il passato-presente-futuro di un flusso compositivo che non si ferma. Ne abbiamo parlato con loro.

QUANTO VI SENTITE HYPFI? CIOÈ, FATE MUSICA TRISTE MA SIETE DELLE PERSONE FELICI?
Giulia: Oltre la sufficienza, si può fare musica triste solo superata quella tristezza, un po’ come guardare il panorama dall’alto di una vetta.
Federico: Non sono sicuro di sentirmi una persona felice. Sono contento di quello che ho e le soddisfazioni che mi sono tolto ma ci sono cose che dentro di me non mi fanno totalmente sentire di aver raggiunto la felicità. Mi emoziono per tante cose, nel bene o nel male, e sono indifferente a tante altre, più di quanto credessi e riverso questo mio emozionarmi in quello che scrivo, un po’ come una sorta di terapia, a volte funziona altre no. Ma il fatto che sia venuta musica “triste” è perché base ho questo mood malinconico che mi porto dentro.
Silvia: Metà e metà, molto dipende dal meteo, dalla luna, dalle oscillazioni interne. Diciamo che la musica è sempre un “mezzo di trasporto” da dentro a fuori -una catarsi, una redenzione- e viceversa, da fuori a dentro -un comprendersi, un lasciarsi andare.
Nicola: Facciamo musica triste ma non ci riteniamo delle persone felici. Siamo delle persone normali, con tutte le nostre emozioni, che posso essere positive o negative. Tra di noi c’è un rapporto solido, di rispetto e amicizia. Questo sicuramente ci aiuta nella composizione dei pezzi perché ci basta uno sguardo per capirci e trovare le giuste emozioni che vogliamo trasmette attraverso il pezzo.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL VOSTRO EP, LETTERS TO A DEAD FRIEND, E PERCHÉ?
Giulia: Per me la canzone più triste del nostro EP è Broken Lily.
Federico: Dipende da come vengono interpretati i testi; Our Long Goodbye può sembrare un pezzo pieno di speranza, ma in realtà, in questo momento per me, racchiude la vera e propria esperienza della perdita di qualcuno che hai amato. Broken Lily invece nonostante porti il peso dello sconforto per la malattia di una persona cara diciamo che è più triste per come è scritto il testo che per la storia in sé, diciamo che è una presa di coscienza e accettazione di quello che è successo.
Silvia: Broken Lily. È una canzone molto intima, una ricerca di guarigione.
Nicola: Penso anche io che Broken Lily sia un pezzo molto malinconico e sicuramente quello più toccante dell’EP.

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’EP?
Giulia: La canzone più felice invece è Our Long Goodbye perché comunque racchiude la speranza che tutto quello che di positivo e prezioso c’è stato in un passato rotto in un modo o nell’altro viva in noi e che potremmo incontrarlo nuovamente in un luogo diverso e in una forma più lucente in futuro.
Federico: Non so bene dare una risposta a questo perché, se vogliamo vederla dal punto di vista strettamente della fruizione di una canzone, il pezzo più trascinante e con un mood tendente al positivo (almeno musicalmente) è sicuramente Why Everything We Care About Is Falling Apart? – titolo iper-lungo che riprende la prima linea del testo – è un grido asprissimo contro la fatalità, contro al dolore che tutti proviamo in senso generale della nostra condizione di esseri umani, della morte, e del suo incessante ripetersi, ma in rapporto alle altre è quella con un messaggio più “ottimista”, e che dà a mio parere una certa liberazione, sia nell’ascoltarla che anche nell’eseguirla.
Silvia: Our Long Goodbye, esprime una profonda speranza di ritrovare chi abbiamo perduto.
Nicola: La canzona più felice dell’ep è sicuramente Why Everything We Care About Is Falling Apart?, perché è quella più veloce, ritmata, che va dritta al sodo senza troppi fronzoli. Questa canzone personalmente ha l’obiettivo creare nell’ascoltatore un senso di bisogno di volere esprimere qualcosa, nel voler uscire allo scoperto in qualsiasi modo, una esigenza.

IN CHE MODO LA VOSTRA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Giulia: Per un atto di conforto.
Federico: Ti dà conforto nel momento in cui ti capitano più o meno le stesse cose che abbiamo passato noi. Non ti renderanno sicuramente felice ma sono un modo per far fronte ai periodi bui, potrei dire che mi piacerebbe che conducessero verso la felicità, un primo passo verso di essa, nonostante di base abbiano una atmosfera malinconica.
Silvia: Facendo sapere che non si è soli, soprattutto nei momenti più difficili, la musica trova sempre il modo di unirci.
Nicola: La nostra musica non ha la pretesa di rendere felice chi l’ascolta. Noi facciamo musica per esigenza, perché abbiamo bisogno di esprimere qualcosa. Le emozioni che crea nell’ascoltatore sono del tutto soggettive, possono creare tristezza o felicità. L’importante è che trasmettano qualcosa, che si crei una sorta di legame tra noi e chi ci sta ascoltando. Se riusciamo anche per un secondo a creare questi legame, per noi valgono tutti gli sforza fatti finora.

QUALI SONO LE TUE VOSTRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
Giulia: Plainsong dei The Cure, True Faith dei New Order, Elephants delle Warpaint.
Federico: (in un ordine non particolare) Youth dei Daughter, Cancer dei My Chemical Romance, Fade Into You dei The Mazzy Stars.
Nicola: On dei Block Party, Ceremonial di Casey e Pyro dei Kings Of Leon.
Silvia: Quello che non c’è degli Afterhours, Please, Please, Please, Let Me Get What I Want dei The Smiths, When the Sun Hits degli Slowdive.

Ecco Letters To A Dead Friend:

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