Dopo l’album d’esordio, On Hold del 2018, c’era molta attesa per il secondo lavoro di Fenne Lily. La giovane cantante di Bristol non ha deluso le aspettative, e Breach è già uno dei nostri album preferiti dell’anno, dopo aver ascoltato singoli come Alapathy, Berlin e Solipsism. Minimale ma potente al tempo stesso, parla di solitudine e momenti difficili, ma con una maturità sorprendente. Ne abbiamo parlato direttamente con lei.

QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE?
È difficile definirmi una persona davvero felice o la mia musica realmente triste. Felice e triste sono parole troppo limitanti e semplicistiche per raccontare due estremità dello spettro emotivo così complesse. Potrei dire che sia io che la mia musica siamo un po’ inquieti e questo aspetto può a volte essere interpretato come tristezza. Trovo più naturale scrivere di tematiche tristi, è la cosa che mi viene più facile, anche se magari nel momento in cui scrivo ho già fatto pace con quella tristezza, che ormai è svanita. In questo album volevo raccontare quei momenti in cui si supera una situazione difficile e guardandosi alle spalle ci si rende conto, ormai con un certo senso dell’umorismo, che il dolore era necessario. In queste canzoni non parlo invece mai del rancore, un sentimento che in un certo senso può essere considerato come il lato felice della tristezza, perché ti rende in grado di poter dire “era una merda, era stupido ma a un certo punto quello che provavo per lui era reale”.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO ALBUM, BREACH, E PERCHÉ?
Someone Else’s Trees è piuttosto triste. Parla della notte in cui ho smesso di respirare quando ero bambina: ricordo solo mia madre che urla e il viaggio in ambulanza, ma quando l’ho scritto ero davvero molto giù e pensavo che la morte non fosse una cosa così brutta e spaventosa. La cosa più spaventosa era invece proprio attraversare quel brutto momento. In realtà ho trovato talmente difficile terminare questa canzone che non l’ho mai fatto: ho smesso di scriverla, ma pochi mesi dopo ho trovato una registrazione fatta al telefono e ho capito che non dovevo abbandonarla. Ho mescolato la canzone con altre due non concluse: non mi sarei mai aspettato che tre pezzi così diversi sarebbero potuti diventare una sola canzone. Quindi è il brano più triste ma anche il più dolce, forse.

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’ALBUM?
I Used To Hate My Body But Now I Just Hate You. È una canzone “vaffanculo” e trovo un non so ché di appagante in questa definizione, ma ammetto che è anche un modo per trovare una rassicurazione che un giorno sarò capita dalla persona di cui parlo. Penso che ci sia un elemento di felicità nella rabbia: se poi passa e non la porti con te per sempre può essere liberatoria. Non ho mai realmente pensato di suddividere l’album in canzoni felici e tristi, però c’è un prima e dopo la tempesta, c’è una parte maniacale e una più serena nella mia scrittura. Ci sono io che guardo indietro per capire se alcune cose del passato mi servono ancora, e ammetto che molti di questi ricordi dovrebbero essere negativi, ma finisco per vederli in modo positivo. Ma questa per me è la felicità, poter scegliere cosa tenere e cosa no.

IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Non credo che “dovrebbe” fare nulla. Le persone prendono quello che vogliono dalla musica e va bene così. Le canzoni d’amore possono rendere tristi alcune persone, mentre una canzone “triste” può rendere “felice” la stessa persona. Non vedo l’arte o la musica come un mezzo per un fine. Niente di quello che scrivo ha l’intenzione di portare qualcuno a pensare o provare una cosa definita: far provare qualcosa è già abbastanza e di sicuro non mi aspetto di essere in grado di controllare come viene recepito quello che faccio. La musica è soggettiva, ma se stai cercando musica da ballare forse la mia non è la scelta migliore!

QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
Life in Vain di Daniel Johnston: “it’s so tough just be alive / when you feel like the living dead”. Sono i testi della sua musica ad essere cupi, non la musica, soprattutto in questa canzone. Il mio amico Zander Sharp poi ha scritto una canzone intitolata Settlements: il ritornello è ” I’d be strong if I never needed someone “. È una cosa che sento molto mia, la difficoltà di essere davvero indipendente in termini di musica e vita. È impossibile per me fare tutto da sola, ma quel bisogno di conforto e compagnia porta anche molto dolore. Anche la voce di Zander è così morbida, forte e perfetta su questa traccia. E Love is Only a Feeling dei The Darkness, perché è vero, l’amore o cresce o va alla deriva.

Ecco Breach:

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