Dalila Spagnolo è una cantautrice leccese che, dopo l’esordio nel 2021 con Fragile, ha pubblicato il suo secondo album, La fame nelle scarpe. I suoi testi raccontano di fragilità e di sfide legate alla crescita personale, mentre le sue canzoni sono in italiano, inglese e francese con un sound che spazia dal pop alla world music. Ne abbiamo parlato con lei.

QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE?
Non definirei la mia musica triste, piuttosto direi inquieta. Ed io sì… sono inquieta, sempre alla ricerca di risposte e di un equilibrio che gioca a nascondino in un presente che si attorciglia alle trame del passato. Siamo tutti tristi, e poi felici, e poi nostalgici, e poi inquieti. È il gioco della vita, quello di gustarsi e dare valore a tutte le emozioni che ci attraversano. In una traccia del mio nuovo disco La fame nelle scarpe, Faut pas doutè de moi, mi chiedo: “Chi sono io?” e “Chi sarò io?”. Sono due domande complesse, per le quali ogni giorno la ricerca è nuova e la risposta è un mistero. Mi auguro tutti si interroghino, fino a raggiungere la consapevolezza (e mi ricollego alla vostra domanda) che la felicità non è un obiettivo, ma è uno strumento per raggiungere gli obiettivi.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO ALBUM, LA FAME NELLE SCARPE, E PERCHÉ?
In assoluto direi, Forse (vi lascio il videoclip meraviglioso che abbiamo girato con 20 performer). Nel disco è preceduta da un Interludio, monologo intriso di senso di solitudine e tristezza. Forse vuole trasmettere la forte inquietudine dell’essere umano che si slancia verso qualcosa o qualcuno che si rivela essere la parte più oscura di sé. Ciò che nella vita fuggiamo è ciò che, alla fine dei conti, ci riguarda da vicino. D’altronde, è proprio con questa parte oscura, pigra, sola, disagiata, colma di rabbia e frustrazione, che negli ultimi anni si è affrontato lo scontro diretto.

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’ALBUM?
Non c’è un brano felice in particolare. Ma c’è un brano dal sound gioioso, carico, ritmico. E’ la traccia 8, Superpower ed essenzialmente esprime un’amara consapevolezza, arrangiata in modo epico e “leggero”, di non avere i superpoteri per porre rimedio alle sofferenze del mondo. E poi la traccia 9, Quel Santo Giorno è un brano d’amore.

IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Ci sono molte persone che mi scrivono di rivedersi in ciò che canto. Credo che questo aspetto del rispecchiamento sia un modo per non sentirsi soli, e questo ci fa sentire sempre un po’ meglio. Il mio obiettivo è quello di far cantare qualcosa che dentro scavi e porti a riflettere. La musica che culla e accompagna moti interiori è ciò che a me fa stare bene (anche quando fa male) e che voglio donare agli altri.

QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
C’è da dire che la maggior parte della musica che ascolto è melanconica, come questi tre brani, forse non tutti tristi, ma sicuramente dal retrogusto amaro. Costruire di Niccolò Fabi, Giudizi universali di Samuele Bersani e Quando di Pino Daniele.

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