Petrigno è un cantautore, polistrumentista e illustratore siciliano, ma La lingua del Santo, il suo primo album solista, nasce a seguito di un lacerante lutto che lo ha spinto a lasciare la sua città natale e a trasferirsi in una casa immersa nel bosco laziale. Il suo è un album denso di significato, melismatico, ipnotico e mai scontato, trasversale ma pur sempre vicino alla tradizione italiana della canzone. Un disco dove regna la canzone nella sua più alta espressione, la poesia ma anche il delta blues e l’elettronica, il noise e la furia ma anche la dolcezza, l’incondizionato amore e il dolore per la perdita di un caro amico, il gospel, il voodoo, gli incubi, le tragedie, la bellezza dell’oscurità, l’apocalisse dei tempi odierni, la morte, l’autodistruzione, il cielo, il mare e l’inferno. Ne abbiamo parlato con lui.

QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE?
Non credo di esserlo, anzi. Credo di essere peggio di quello che scrivo.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO ALBUM, LA LINGUA DEL SANTO, E PERCHÉ?
Tu lo sai. È una ballad dolorosa, semplice. Un grido d’aiuto, una lettera a se stessi e ad un amico andato via.

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’ALBUM?
La traccia 9 (l’album ha otto canzoni n.d.r.).

IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Non so se felice, ma capito magari, forse può dire a chi l’ascolta che non siamo da soli davvero ma condividiamo tutti dei dolori simili o delle brutte avventure.

QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
Famous Blue Raincoat di Leonard Cohen, Vedrai Vedrai di Luigi Tenco, Lover, You Should’ve Come Over di Jeff Buckley.

Ecco La lingua del santo:

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