Kafka For President è il disco d’esordio dei bresciani Gamaar, band fondata da Gabriella Diana, autrice e produttrice del progetto. È un disco arrabbiato: nuotando nell’assurdo, racconta cosa succede alla mente quando galleggia e quando affoga. Vivendo in una società capitalista, una società della performance, del consumo, dello sfruttamento lavorativo, del trauma, del privilegio e della discriminazione, cosa succede alla nostra salute mentale? Si rompe, si contorce e resiste. Ne abbiamo parlato con Gabriella.

QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE?
Mah, non mi definisco una persona felice. Alla fine cosa vuol dire? Si possono vivere momenti di serenità, di equilibro e di gioia, certo. Ma definirsi “una persona felice”, in questa società non la vedo come una possibilità reale. Posso affermare felicemente che sono stata molto molto peggio, e ad oggi, grazie alla terapia e ai miei affetti, sto molto meglio. Ecco questo sì!

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO ALBUM, KAFKA FOR PRESIDENT, E PERCHÉ?
Ore ed ore penso sia la più triste, e parla del mio periodo più depresso e disilluso: non riuscivo a reagire, a sperare, ad alzarmi da quei divani che cito nel testo. L’ho scritta facilmente, quasi come un flusso di coscienza, cosa che succede raramente. Nel brano esprimo la speranza di riuscire a trovare un modo per restare aperta e sensibile verso il mondo e la vita, ma in modo meno distruttivo: scrivere questo disco ha avuto precisamente questo significato per me, ossia trasformare emozioni negative, opprimenti e distruttive in qualcosa di creativo, comunicativo e arricchente.

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’ALBUM?
L’ultima traccia Cos’era? Ero io perché esprime un concetto semplice ma in cui credo molto, ossia “uno è quello che fa”: le nostre azioni definiscono ciò che siamo e viceversa, quindi abbiamo la responsabilità e la libertà di dare senso alla nostra esistenza attraverso i nostri comportamenti, il nostro atteggiamento verso “l’altro” e il nostro prendere posizione. È quindi un brano di speranza alla fine del disco, che, dopo tanta disillusione, tristezza, rabbia e frustrazione, propone una soluzione: abbi il coraggio di essere chi sei, di dire ciò che pensi e di ascoltare chi ha meno privilegio di te, di lottare, di vivere e di dare comunque importanza alla tua esistenza, consapevole che in fondo in fondo di importanza e senso non ne ha.

IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Beh rendere felice è difficile, non penso che l’arte, ma nemmeno la vita, possano prendersi tale responsabilità. Sicuramente può consolare, può far sentire meno soli e sole, può “abbracciare” (mi piace molto usare quest’ultimo termine). È un po’ il motivo del mio far musica: abbracciare chi si sente o si è sentito come me, chi ha avuto problemi di salute mentale, chi si sente incompreso e frustrato da questa società consumistica, competitiva e capitalista. Spero che la nostra musica renda non felici, ma capiti, abbracciati, che crei comunione.

QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
Beh al primo posto indiscusso Nude dei Radiohead, al secondo posto Vedrai, vedrai di Luigi Tenco, e al terzo Lei disse (un mondo del tutto differente) dei Verdena. Tutti e tre questi brani riescono a stringermi lo stomaco e il cuore, portarmi in gola tutto il mio dolore e il mio rimpianto. Sono una coccola che mi concedo quando voglio lasciarmi andare, quando ho bisogno di accettare il dolore senza rifiutarlo o ingoiarlo per “andare avanti”. È uno spazio che ritengo importantissimo trovare nel corso della vita.

Ecco Kafka for President:

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