Nicolò Piccinni è un cantautore e attore torinese ha pubblicato il suo terzo album, mareAmare, che non è solo un disco, ma anche un libro di racconti e illustrazioni e una raccolta di video, tutti accomunati dal tema della dimensione virtuale. L’album è un viaggio interiore che racconta la perdita e la riscoperta di sé nelle dimensioni virtuali, da internet all’amore, dal sogno alla follia. Dodici canzoni scritte da Piccinni, prodotte e arrangiate insieme alla band Gli Internauti, divise in due lati, come in uno specchio: superficie e profondità. Ne abbiamo parlato con lui.

QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE?
Tantissimo. Non faccio solo musica triste, ma nella vita mi ritengo una persona felice. Forse per questo la massima espressione artistica che preferisco è quando una canzone è profondamente triste, cioè una mazzata devastante a livello di testo ma musicalmente ti trascina a ballare: è un po’ il concetto già solo espresso nel titolo di Caparezza Ti sorrido mentre affogo.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO ALBUM, MAREAMARE, E PERCHÉ?
Posso dire quale sia per me, ma per gli altri potrebbe essere un’altra. Per me è Aldiqua, perché racconta della traversata di una persona da un non-luogo a una meta splendente e promettente, dove deve affrontare discriminazione, umiliazione e sofferenza. Però poi si integra in questo “aldiqua”. Bene, allora dove sta la tristezza, finisce bene no? La cosa triste è che poi è il primo a discriminare, umiliare e lasciare soffrire il prossimo che tenta la traversata in quello che ora è diventato il suo “aldiqua”. Una disperata integrazione, se non è accompagnata nel modo giusto, diventa un ciclo interminabile di violenza verso i nuovi stranieri. Io sono figlio di immigrati del sud trapiantati al Nord e non scordo i racconti dei miei nonni, dei miei zii e di chi ha attraversato la sofferenza dell’essere estranei. E poi, integrati, hanno fatto lo stesso con i nuovi arrivati. Penso che i cicli viziosi e distruttivi siano molto tristi.

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’ALBUM?
Senza dubbio Sottacqua. È una canzone che approfondisce il concetto di “Ti sorrido mentre affogo” che dicevo prima. Quando accogliamo le nostre emozioni, queste ci fanno andare in profondità. Il rischio di affogarci dentro è grande, soprattutto quando il cuore è pesante, colmo, ma allo stesso tempo c’è la possibilità che il nostro cuore diventi un’enorme branchia emozionale, in grado di farci respirare sott’acqua. Quindi in questa prospettiva la considero una canzone felice, o per lo meno incoraggiante.

IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Posso solo sperare che ciò accada, perché il mio potere si esaurisce nel momento in cui pubblico la canzone. Da quel momento sta a lei fare la sua strada. Quindi posso formulare un’ipotesi, basandomi sulla felicità che ho provato io nell’ascoltare gli altri. Innanzi tutto c’è la meravigliosa possibilità che ascoltando la voce di qualcun altro io possa uscire da me stesso, e questo è già di per sé elettrizzante. Poi se questo qualcuno racconta qualcosa di emozionante, forse posso specchiarmi, rivedermi nelle sue parole e nei suoi suoni. Così mi ritroverei a guardare me stesso da un’altra prospettiva. Quando questo mi succede è come tornare a casa dopo un lungo viaggio, e io sono sempre felice di tornare a casa dopo un viaggio. Sarebbe bello, e sarei onorato, se accadesse a qualcuno che ascolta una mia canzone.

QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
Claudio Lolli è stato un autore tra i più tristi che mi vengano in mente. Le sue canzoni sono laceranti, sono gonfie di critiche alla società e svelano la vita illusoria che ognuno di noi è costretto a trascorrere. Ma dal vivo è stato l’artista più divertente che abbia mai visto. Forse era proprio la sua capacità di alternare queste mazzate tristissime ad aneddoti, racconti e punti di vista spesso esilaranti su qualsiasi argomento. Passavi da lacrime di tristezza a lacrime di gioia nel tempo di una canzone o poco meno. E questo la dice tanto sul potere esorcizzante dell’arte. Quindi sicuro scelgo Keaton di Claudio Lolli: parla di un tastierista che chiamavano Keaton “naturalmente perché non sorrideva mai, mentre noi ci ammazzavamo di risate”, in riferimento al comico del cinema muto Buster Keaton. Addirittura rincaro la dose scegliendo la versione di Francesco Guccini (altro autore di canzoni tristissime che dal vivo era un mattatore esilarante straordinario), che aggiunge una strofa in cui parla del vero Buster Keaton, e dei suoi ultimi giorni di vita, portando la tristezza a vette irraggiungibili. Come seconda canzone scelgo Imitation of Life dei R.E.M. perché mi piaceva da morire per il ritmo e la musicalità e solo successivamente, imparando l’inglese, ho scoperto che il testo era una mazzata devastante (bellissimo il videoclip tra l’altro). Per ultima scelgo un fado portoghese, Se aquele di Camanè su testo di Fernando Pessoa. La sentii per la prima volta al Torino Film Festival nella colonna sonora del film “A religiosa portuguesa” di Eugène Green. Struggente, tristissima. E bellissima.

Ecco mareAmare:

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