Henry Beckett è un cantautore italiano nato a Milano, ma di anima americana. Dopo l’EP di esordio Heights, ha pubblicato il suo primo album, Riding Monsters. Nove tracce che solcano le onde del suo universo introspettivo e profondo, raccontando la voglia di conoscersi anche attraverso le difficoltà in modo da familiarizzare con esse per trasformarle in qualcosa di positivo per sé. Un lavoro che rimane fedele alla tradizione americana dell’alternative-rock e, in generale, al mondo anglofono cantautorale, portando l’ascoltatore ad immergersi in spazi sconfinati colorati da chitarre riverberate e dalla sua voce calda e sognante. Ne abbiamo parlato con lui.

QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE
Ma sapete che alla fin fine non so più quanto la mia musica sia triste? Cioè, ho sempre pensato di scrivere musica per ascoltatori malinconici e depressi, ma mi sono anche reso conto che nei miei testi quello che principalmente prevale è un messaggio di speranza. E so anche il motivo, mica perché sono una persona ottimista che si sveglia la mattina aprendo le finestre dicendo “Buongiorno mondo!”. No, io faccio letteralmente l’opposto. E proprio per questo, quando scrivo, mi sforzo di non crogiolarmi troppo anche nei testi. Quindi scrivo da persona triste per altri tristi, per cercare di essere meno tristi. Comunque non è che funzioni tanto…

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO ALBUM, RIDING MONSTERS, E PERCHÉ?
Probabilmente Butterfly, che non a caso è la mia preferita. In realtà è una lode rivolta a chi sa godersi l’attimo, apprezzando i singoli momenti senza focalizzarsi sui lati negativi di ogni cosa. Sembra quindi una canzone da super pacifisti pieni di gioia “yuhuu!”, ma è stata scritta proprio con la consapevolezza di non essere in grado di pensare in questo modo… cosa che alleggerirebbe non poco le mie giornate.

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’ALBUM?
Ehm… dai diciamo A Boy Needs To Grow, perché è quella che più di tutte legittima con serenità e ottimismo la scelta di imbarcarsi in percorsi ostici e difficili come quelli tracciati dalle proprie passioni.

IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Siccome molte canzoni del disco parlano proprio del continuare a insistere per realizzare i propri sogni, penso che l’album possa essere un motore di felicità per chiunque si trovi incastrato in una fase di vita in cui preme questo istinto di scommessa verso se stessi. Sento molte persone a me vicine insoddisfatte per le loro recenti scelte lavorative e desiderose di mollare tutto per iniziare da capo. Io sto provando a farlo e rivolgo queste mie canzoni a chi naviga su questa stessa barca. Ora che ci faccio caso, questo è proprio lo spirito della sesta traccia “In Your Company”.

QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
Temo siano tutte e tre dello stesso artista: Ryan Adams. La prima in assoluto è sicuramente The Shadowlands. È una canzone che prima dell’arrivo di Spotify aveva già 6777 ascolti sul mio iTunes. L’ho usata spesso come brano per addormentarmi quando ero un teenager suuuuper Hypfi. La seconda è Starlite Diner, che ha uno dei versi che più mi è rimasto impresso di sempre: “It’s a blow out / On a birthcake / And I’m a birthday candle / Floating on the lake”. La terza è Elizabeth, You Were Born To Play That Part. Se volete farvi male emotivamente, eccovi una traccia utile. Sarò monotono con Ryan Adams, ma ascoltatele e poi mi direte se non avevo ragione.

Ecco Riding Monsters:

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