Ubertone, cioè il veneto Marcello Ubertone, fa musica da più di vent’anni, ma ha appena pubblicato il suo primo album, Meconio. Un lavoro che spazia da intense ballate introspettive a piccole narrazioni caratterizzate una componente umoristica, per introdurci al suo peculiare mondo poetico fatto di forti chiaroscuri, musicali ed emotivi. Ne abbiamo parlato con lui.

QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE?
A dire il vero, non mi riconosco molto in questa definizione. Il mio umore è parecchio altalenante e così anche il mood delle mie canzoni che passano dalla presa male al cazzeggio con una certa disinvoltura.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO ALBUM, MECONIO, E PERCHÉ?
Forse Non mi manchi per niente e uno dei motivi è che è travestita da canzone allegra.

E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’ALBUM?
Credo che sia Efelidi, che al contrario è una canzone felice travestita da canzone triste. Ma da quando la storia di cui parla è finita si traveste così bene che non la riconosco neanche io.

IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Io credo che una canzone faccia il suo lavoro quando hai l’impressione che ti capisca. In questo senso mi auguro che il mio disco, anche solo per pochi secondi, possa rendere felice qualcuno.

QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
È un’impresa quasi impossibile sceglierne solo tre! Facciamo che mi riservo l’idea di cambiare idea già domani… Ma oggi vi dico Albergo a ore di Herbert Pagani nella versione di Gino Paoli, Le passanti di Fabrizio De Andrè e Nothing Compares 2 U di Sinead O’Connor.

Ecco Meconio:

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