Avevamo conosciuto la milanese Lyre a fine 2020 con Broken Flowers, il suo singolo d’esordio, che ci aveva una cantante assolutamente originale nel panorama italiana con il racconto dei suoi universi ossessivi. Ora che è uscito Queer Beauties, il suo primo EP, abbiamo parlato con lei per saperne di più.

QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE?
Premetto che la parola “felice” è un po’ violenta, imbarazza: condivido le parole di una delle mie poetesse preferite, Livia Chandra Candiani, scoperta di recente, che scrive “la parola felice mi imbarazza. Mi fa sentire inadeguata, mi fa sentire la forzatura di una distanza dal mondo, è una parola senza variazioni musicali”. Mentre gioia è più sottile. Posso dire appunto che cerco ogni giorno di riuscire a prendermi cura di chi e di ciò che amo con gioia e respiro. E questo richiede sempre una presenza e un’apertura costante e a volte un lavoro molto profondo e paziente, ma allo stesso tempo arricchisce di conseguenza e mi fa sentire di vivere pienamente. Altre volte è molto difficile e richiede fiducia e raccoglimento nei momenti più delicati. Dentro di me ci sono luci e ombre e grandi complessità esattamente come in ogni persona. L’immergermi completamente e intimamente in ogni sfumatura è ciò che mi appassiona e mi fa sentire la gioia di vivere ed è ciò che ho ritrovato nel lavoro delle artiste e degli artisti che mi hanno ispirata e accompagnata come guide nel mio viaggio creativo.

QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO EP, QUEER BEAUTIES, E PERCHÉ?
Potrebbe forse essere Dorothy. Anche se appunto triste è anche un aggettivo un po’ arrogante e bidimensionale. La definirei invece molto malinconica perché parla di una donna anziana, che ho conosciuto ad Edimburgo, essendo una cliente fissa del locale in ci lavoravo come cuoca. Una donna molto fragile, che si perdeva in luoghi segreti, con l’aiuto dell’alcol e del canto. L’immagine di lei elegantissima, il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, con un bicchiere di prosecco in mano, che canta all’infinito con Alex, un mio amico e collega, presissima, totalmente inconsapevole del contesto, mi ha colpita molto e nel suo cantare c’era sempre una sensazione di resa, il suo sguardo si perdeva in mondi lontani e diventava magnetica e fragilissima allo stesso tempo.

E INVECE QUAL È LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’EP?
Forse Broken Flowers, in un certo senso. Più che felice è un brano che parla della passione della ricerca e dello stato di liberazione che porta l’arrendersi e il rendersi. La voce narrante è come se inseguisse una divinità bellissima e spietata, che la tiene sempre in pugno, la seduce e scappa sempre e non concede mai la grazia. Si arrende a questa sorta di incantesimo, a questo destino di caccia impossibile dettata da un desiderio profondo che comporterà cadute necessarie. In realtà però questa sorta di ricerca infinita mai soddisfatta e questa resa infinita è ciò che le permette di avvicinarsi sempre di più alla sua parte più pura, è il fondamento della ricerca artistica più autentica. Uno stato costante di innamoramento.

IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Io spero che la mia musica possa, più che rendere felice, attraversare chi ascolta, portarlo a perdersi con me, nel mondo che ho creato e fargli vivere un’esperienza. Non vorrei mai che fosse una distrazione, ma un’immersione. Il mio sogno sarebbe, come hanno fatto le artiste e gli artisti che amo di più con me, riuscire ad arrivare, attraversando, far sì che si esca da un ascolto diversi da come si è entrati. Vorrei tantissimo farlo anche attraverso il live, dando il meglio che posso, donandomi al massimo. Perché quando io ho vissuto questo da ascoltatrice o spettatrice, ho sentito, nel profondo, la mia vita arricchirsi, ho sentito la passione per la vita accendersi un po’ di più insieme al suo mistero, insieme alla forza della condivisione ed è una delle ragioni principali per cui sento la necessità di dovermi dedicare ogni giorno a questa ricerca.

QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
Tre sono poche, ce ne saremo moltissime. Ad ogni modo, scelgo queste tre che sono dei capolavori che mi hanno accompagnata dall’adolescenza. Sono Oro puro. Intime e potentissime. Roads dei Portishead, The Garden di PJ Harvey e Tiny Grief Song di Sinéad O’Connor.

Ecco Queer Beauties:

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