l’Albero è il progetto solista del toscano Andrea Mastropietro, ex voce e chitarra dei The Vickers, che è uscito da poco con il nuovo album, Solo al sole, una vera e propria dichiarazione d’amore per la musica italiana, fatta di racconti che viaggiano tra la realtà più cinica e il bisogno di qualcosa di più alto e spirituale: ne abbiamo parlato con lui.
QUANTO TI SENTI HYPFI? CIOÈ, FAI MUSICA TRISTE MA SEI UNA PERSONA FELICE?
Non riesco a definirmi in un solo modo… diciamo che sono tendente alla tristezza, quello ormai è un dato di fatto per me! E poi soprattutto: come si fa ad essere felici per molto tempo? Ancora non l’ho scoperto… La cosa sicura è che la tristezza mi piace un sacco, e credo possano nascere svariate cose da questa, per esempio le canzoni. Adoro i tristi, la musica triste, i film tristi. Le cose troppo felici le prendo a piccole dosi. A volte in alcuni periodi mi scopro incredibilmente felice, magari senza averne nemmeno particolari motivi. È un po’ tutto un mistero il funzionamento della tristezza e della felicità, la cosa sicura è che quando sono felice sto bene, quasi mi sorprendo!
QUAL È LA CANZONE PIÙ TRISTE DEL TUO ALBUM, SOLO AL SOLE, E PERCHÉ?
La canzone più triste del mio album è Oh mia diletta!, cosa che per me la fa essere automaticamente tra i miei brani preferiti del disco. È triste perché tutto quello che si può sentire in quella canzone è vero. Ci sono canzoni più sincere di altre, questo è uno di quei casi. Non credo di essermi mai aperto tanto per un pezzo, quello che dico è diretto, senza molti giri di parole o filtri. Si tratta di non capire i segnali che ti vengono lanciati dall’esterno, in questo caso da un’altra persona, voler fare di testa propria, “faccio sempre quel che voglio e questo tu lo sai”, e inevitabilmente sbagliare qualcosa. Nella vita si sbaglia, spesso capita di pensare “sapessi quante volte hai avuto ragione tu”. È una confessione diretta e sincera, ecco perché è la canzone più triste. Naturalmente ho arrangiato e prodotto il brano esaltando questa atmosfera di tristezza delicata, usando strumenti come la lap steel, che con il suo suono piangente va a toccare le corde giuste.
E QUAL È INVECE LA CANZONE PIÙ FELICE DELL’ALBUM?
Direi proprio la title track Solo al sole. Anche se dall’atmosfera della lunga introduzione può non sembrare, questa è la canzone più felice e positiva. Con questa canzone, che fa da porta per entrare nell’album, volevo narrare qualcosa in presa diretta, come fosse un piano sequenza. Volevo fotografare quegli attimi in cui abbiamo bisogno di prenderci del tempo per far maturare alcune riflessioni che magari ci portiamo dietro da molto tempo, quando siamo quei momenti di transizione da un periodo all’altro, una delle tante volte in cui chiudiamo un periodo per iniziarne un altro, e allora il sole ci asciuga da tutti i pensieri più superflui e devianti. Quindi Solo al sole è una canzone di rinascita e speranza, è un viaggio, come lo è tutto il mio disco. In questo viaggio si maturano pensieri, c’è la speranza di essere qualcuno di diverso da prima, migliore di prima. Il punto è proprio questo; noi cambiamo, e ogni volta l’esistenza ci pone davanti qualcosa di misterioso e difficilmente decifrabile. Sta a noi capire come comportarsi. Si può dire che quella di Sole al sole è una felicità che non è annunciata con squilli di trombe fin dall’inizio del pezzo, ma arriva con un climax, con la crescita del brano, proprio come un viaggio. Ecco, le canzoni per me sono soprattutto un viaggio.
IN CHE MODO LA TUA MUSICA POTREBBE RENDERE FELICE CHI L’ASCOLTA?
Proprio per alcune delle cose che ti dicevo riferite alla canzone Solo al sole: perchè tutti abbiamo il nostro personale viaggio da affrontare. Credo che ascoltare quello che canto in questo album possa fare compagnia in questo muoversi continuo che è la vita delle persone. Penso possa far felice un ascoltatore perché quello che ho scritto non prescinde dalla verità. È sincero, e su questo punto si mente difficilmente perché nella musica ciò che è vero si coglie subito all’ascolto, non si fanno giochetti. Ecco perché il mio disco mi auguro possa dare qualche momento di serenità e felicità a chi lo ascolta, soprattutto in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo a causa della pandemia mondiale. La musica – come tutta l’arte – possiede un valore salvifico, non diamolo per scontato. Ascoltando il mio disco, l’ascoltatore passa attraverso la mia tristezza, amarezza, disillusione etc, ma compie questi passaggi spero per poi uscirne più felice, o almeno meno solo: mi basterebbe anche solo attenuare la solitudine delle persone, sarebbe per me un trionfo.
QUALI SONO LE TUE TRE CANZONI TRISTI PREFERITE DI SEMPRE?
From The Morning di Nick Drake. Quando ascolto certe canzoni di Nick Drake mi commuovo. Sono di una tristezza lucidissima e calma, delicata, piena di poesia. Il verso “And now we rise, and we are everywhere, and now we rise from the ground” rivela l’anima grande di un poeta così sensibile, un’anima lieve, troppo lieve per questo mondo. Quando ascolto questo brano penso alla sua solitudine, e sento in me tutta quell’aria di rassegnazione che doveva circondarlo nel periodo in cui ha scritto la canzone. È anche l’ultima canzone del suo ultimo disco, il suo umile e silenzioso saluto alla vita.
Arrivederci di Umberto Bindi (possibilmente nella versione piano e voce). Una canzone di addio scritta da uno dei maestri assoluti della canzone italiana. Abbiamo due persone che si salutano, e anche se cercano di farlo da “buoni amici sinceri”, “con una stretta di mano” senza farsi prendere troppo dalla tristezza, ciò non cambia il risultato finale che è straziante e dolce allo stesso tempo. In Arrivederci c’è tutta la malinconia degli addii, quella delle cose che finiscono, perché prima o poi tutto ha una fine. Chi ha vissuto un addio di questo tipo, con una stretta di mano e un sorriso sa quello che vuole esprimere questa canzone. Vorrei che un minimo della classe e della signorilità che si respira in questo brano fosse presente oggi nella musica italiana.
I Could Have Told You, nella versione di Frank Sinatra. Adoro la tristezza che si respira in molte composizioni americane della prima metà del novecento, come le canzoni di Gershwin come Someone To Watch Over Me per esempio. È una canzone triste d’amore, piena di passione e di lacrime, come si faceva una volta, è di una tristezza inconsolabile, come piace a me. Sono affascinato dalle canzoni d’amore degli anni quaranta e cinquanta, sono così vitali, passionali, contengono sentimenti amorosi che spesso oggi sembrano così lontani, e soprattutto sono così tristi da far piangere!
Ecco Solo al sole:
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